Le verdure spontanee

Le verdure spontanee

Nel tempo libero, spesso mi piace passeggiare nei campi incolti e raccogliere di persona le verdure selvatiche.
Amatissime protagoniste della cucina contadina, le verdure spontanee sono da sempre l’ingrediente essenziale di una gastronomia povera.
Le verdure spontanee sono depositarie di una cultura popolare che non è scritta nei testi accademici, queste verdure e il loro impiego, si può dire, che hanno fatto la cultura di intere generazioni.
L’uomo da sempre ha rivolto la sua attenzione alle piante che sono intorno a lui per i più svariati usi e l’istinto, l’esperienza, la continua osservazione dei cicli vegetazionali hanno indotto i nostri antenati a fare uso di questa o quella pianta in una determinata epoca vegetazionale.
Oggi il loro sapore viene riscoperto e rivalutato anche nell’alta cucina.
Alla luce della rinata voglia di natura le verdure stanno riemergendo da una latenza voluta della modernità e la ricerca di un “non so che di naturale” induce molti alla ricerca ed impiego di queste verdure spontanee.
Questo attesta un inconscio ritorno alle tradizioni ed ai sapori antichi tanto decantati anche dai media.
Dolci e amare, di colore verde intenso si prestano benissimo per antipasti, primi, per accompagnare secondi piatti, buonissime anche consumate crude in ricche insalate invernali e per ultimo ottime con le focacce e pizze.
Inoltre le verdure spontanee commestibili sono una risorsa importante per un’alimentazione sana, sono un concentrato di vitamine, minerali, molto più di ciò che compri negli scaffali del supermercato e molto più anche di ciò che coltivi nell’orto.
Non sono frutto di selezione umana ma solo della selezione naturale .
In Sicilia nascono spontaneamente dove le condizioni sono ottimali per la loro crescita senza forzature artificiali da parte dell’uomo il che le rende estremamente vitali. Le parti commestibili di una pianta sono diverse: foglie, fusto, germogli, fiori, radici, tuberi e bulbi.
Si raccolgono le foglie delle piante giovani, appena germogliate oppure di quelle adulte che hanno emesso i nuovi germogli laterali e comunque prima della fioritura. Con l’avanzare della maturità, infatti, la verdura diventa più dura, perde l’originario sapore e diviene amara e poco gradevole. La raccolta delle verdure si fa con l’aiuto di un coltello per tagliare i germogli o i fusti mentre i fiori li puoi staccare con le mani.
Io consiglio sempre di rispettare il luogo in cui le raccogli. Non raccogliete tutto lasciando il deserto dietro, ma consentite alle piante di riprodursi.
Nel caso in cui non venga consumata subito non lasciare la verdura raccolta in sacchi di plastica e non tenerla ammucchiata ma distribuirla su fogli di giornale .

La Sinapa

Tra le erbe più comuni del nostro territorio, facilmente reperibile sino all’inizio della primavera, vi è la senape selvatica.
Originaria del bacino del Mediteraneo, è diffusa in tutte le regioni temperate del pianeta in Italia cresce nei campi e nei ruderati, dai 0 ai 1400 m.s.l.m..
Pianta con fusto eretto o ascendente, mediamente alto dai 20 cm ai 100 cm ma in condizioni ottimali può superare il metro. Le foglie della senape selvatica sono commestibili allo stadio giovanile della pianta. Nell’alimentazione animale, esclusi gli uccelli, i semi sono tossici e causano problemi gastrointestinali soprattutto se consumati in grande quantità.

Il Finocchietto selvatico

é una pianta erbacea mediterranea della famiglia delle Apiaceae (Ombrellifere).
Conosciuto fin dall’antichità per le sue proprietà aromatiche, la sua coltivazione orticola sembra che risalga al 1500. La raccolta del fiore del finocchio selvatico avviene in Italia appena il fiore è “aperto”, normalmente a partire dalla metà d’agosto fino a settembre inoltrato. Il fiore si può usare fresco o si può essiccare, all’aperto, alla luce, ma lontano dai raggi diretti del sole, che farebbero evaporare gli olii essenziali.
In cucina si possono usare tutte le parti del finocchio. Il grumolo bianco (erroneamente ritenuto un bulbo) del finocchio coltivato si può mangiare crudo nelle insalate oppure lessato e gratinato e si può aggiungere agli stufati.

La cardella selvatica

La cardella selvatica, Nome scintifico: Taraxacum officinalis (asteracee) Nome comune: tarassaco, soffione, dente di leone, piscialetto, cardella. Habitat: E’ molto comune nei prati e lungo le strade fino a 2.000 mt.
Riconoscimento: È una pianta erbacea perenne, di altezza compresa tra 3 e 9 cm, che presenta una grossa radice a fittone dalla quale si sviluppa una rosetta di foglie aderente al terreno. Le foglie sono allungate con l’estremità appuntita ed il margine dentato (da cui il nome di dente di leone).E’ preferibile raccogliere le foglie prima della comparsa dei fiori. Taglia il ciuffo di foglie con un coltello ben affilato a 1 cm dalla base in modo che la pianta può continuare a vivere.
Proprietà: le foglie sono molto nutrienti. Hanno un contenuto in beta-carotene maggiore delle carote e contengono più ferro degli spinaci. Il tarassaco contiene anche vitamine B-1, B-2, B-5, B-6, B-12, C, E, P e D, biotina, inositolo, potassio, fosforo, magnesio e zinco. La radice contiene lo zucchero inulina.
Come tutte le piante amare stimola la digestione ed è diuretica (da cui il nome piscialetto).
Impiego: sono commestibili tutte le parti della pianta: foglie, fiori e radici.
Le foglie primaverili possono essere mangiate crude in insalata; man mano che la stagione avanza si usano cotte.
I fiori possono essere aggiunti ad insalate o fritti con una pastella. I boccioli possono essere messi sotto sale o sott’aceto.
Si può mangiare anche la radice, raccolta preferibilmente in inverno, aggiungendola alle minestre

La boraggine

Borago officinalis (boraginacee)
Nome comune: borraggine, boragine, borana, erba pelosa.
La borragine è una pianta dai caratteristici fiori blu che cresce spontanea nell’area Mediterranea. È ricca di minerali come il calcio, il potassio e gli acidi grassi essenziali omega 6 . In cucina vengono utilizzate le foglie tenere della pianta, che a prima vista si presentano pelose e pungenti al punto da far pensare di non essere commestibili. Questa verdura, con tutto ciò, è particolarmente usata nella cucina Siciliana. Generalmente viene semplicemente bollita e condita con olio d’oliva, ed è apprezzata per il suo gusto delicato, e perché si ritiene essere rinfrescante.
Habitat: Cresce spontanea un po’ dovunque fino a 1.000 metri d’altezza.
Riconoscimento: E’ una pianta erbacea annuale alta fino a 70 cm. dall’ aspetto ispido in tutte le sue parti per la presenza di peli rigidi e pungenti (ma non urticanti come l’ortica). Le foglie sono verde scuro di forma ovale appuntita e spesso hanno un aspetto bolloso con la pagina superiore ruvida e quella inferiore con nervature molto evidenti. Il fusto è cavo, grosso ma tenero,
I fiori sono blu-viola (raramente rosa o bianchi) e si presentano a grappoli sulla sommità dei fusti. Hanno una caratteristica forma a stella a cinque punte con al centro una coroncina biancastra. La fioritura avviene tra marzo e settembre (nel centro Italia).
Proprietà: Contiene mucillaggini, vitamina B, tannini e nitrati. Contiene alcuni alcaloidi dall’azione epatotossica per cui viene sconsigliato un uso massiccio.
Raccolta: Si riesce a raccoglierla quasi durante tutto l’anno ad esclusione dei mesi più freddi. Si raccolgono le foglie alla base prima della fioritura oppure le cime e le foglie più tenere quando la pianta è adulta. Non farti intimidire dall’aspetto ispido della pianta perché i peli perdono la loro rigidità con la cottura. Si possono raccogliere anche i fiori aperti.
Impiego: Le foglie possono essere utilizzate per insaporire risotti o minestre, come ripieno per i ravioli e lasagne o per fare frittate.
I fiori possono essere usati anche come colorante naturale per aceti aromatici e vengono impiegati crudi per insalate miste o come ornamento di alcuni cibi.

Angiti

Bietola selvatica (Beta vulgaris)
E’ una pianta erbacea annuale con apparato radicale perennante, caratterizzata da fusti costolati e da giovane pelosetti. Le foglie sono di forma romboidale, picciolate con punta acuminata e bordi lisci ondulati, di colore verde lucido. I fiori sono raggruppati in spighette allungate, sia apicali che ascellari di colore verdastro.
Le parti utilizzabili sono le foglie e tutti i cimali teneri.
Molto più saporita di quella coltivata, è una pianta perenne che si trova nei campi e nei sabbiosi litoranei. Ottima lessa, con i pesci in umido e come ripieno di pasta fresca .
Nel mio paese gli angiti vengono messi crudi all’interno dei cudduruni tipiche focacce ripiene di verdure e primosale

Gli Asparagi selvatici

L’asparago selvatico (Asparagus acutifolius) è una pianta perenne che appartiene alla famiglia delle Liliaceae, piuttosto diffuso nelle regioni che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Si distingue dall’asparago comune per il fusto molto più sottile e il sapore più amaro. Come molte piante tipiche della macchia mediterranea, l’asparago selvatico presenta delle spine alla base delle foglie, che gli conferiscono il nome di asparago “pungente” o “spinoso”. La pianta, infatti, si presenta come un cespuglio spinoso, che cresce facilmente anche in zone aride e soleggiate.
Dell’asparago si consumano i germogli, chiamati “turioni”, dal caratteristico sapore pungente.
I germogli crescono durante i mesi primaverili. Gli asparagi selvatici sono generalmente venduti in mazzetti: è possibile reperirli in primavera, soprattutto nelle numerose fiere paesane dedicate a questo prezioso e gustoso alimento selvatico.
L’asparago selvatico è un alimento importante per tutti i problemi legati ai reni, infatti è diuretico e depurativo, oltre ad essere ricco di Vitamine A, C e di sali minerali importanti come il Potassio. Questa pianta è importante anche dal punto di vista ambientale. Infatti si riproduce molto rapidamente, riportando il verde nelle zone soggette ad incendi. Il nome asparago, infatti, deriva dal greco a-speìro, ovvero è una pianta che non ha bisogno di semina, in quanto si riproduce spontaneamente.

La cicoria

La cicoria è un erba selvatica dal gusto particolare, leggermente amarognolo, ottima come disintossicante cruda o cotta.
Per il nome generico (Cichorium) di questa pianta è difficile trovare un’etimologia. Probabilmente si tratta di un antico nome arabo che potrebbe suonare come Chikouryeh. Sembra (secondo altri testi) che derivi da un nome egizio Kichorion, o forse anche dall’accostamento di due termini Kio (= io) e chorion (= campo); gli antichi greci ad esempio chiamavano questa pianta kichora; ma anche kichòria oppure kichòreia. Potrebbe essere quindi che gli arabi abbiano preso dai greci il nome, ma non è certo.
La difficoltà nel trovare l’origine del nome della pianta sta nel fatto che è conosciuta fin dai primissimi tempi della storia umana. Viene citata ad esempio nel Papiro di Ebers (circa 1550 a.C.) e Plinio stesso nei suoi scritti citava questa pianta in quanto conosciuta nell’antico Egitto; il medico greco Galeno la consigliava contro le malattie del fegato; senza contare tutti i riferimenti in epoca romana.
In cucina l’utilizzo più frequente è quello delle foglie nelle insalate (fresche o cotte). Se si fa un uso costante delle foglie fresche si ottengono anche i benefici medicamentosi descritti sopra. Per evitare l’eccessivo gusto amaro le foglie vanno raccolte prima della fioritura o va eliminata la parte più interna. La radice e ricchissima di inulina
Anche se oggi questo alimento è messo in secondo piano, non dimentichiamoci che in passato era molto più utilizzato come ad esempio “pane e cicoria ripassata”. È grazie al popolo romano che, tra tutte le erbe spontanee, la cicoria è quella che maggiormente viene ricordata anche da chi in campagna non ci va mai. Anticamente esisteva il personaggio del “cicoriaro” che come mestiere raccoglieva nei campi questa pianta e poi la rivendeva nei mercati rionali. Attualmente la maggioranza dei piatti preparati con la cicoria rientrano nella categoria dei “piatti tipici regionali”

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